di Costanza Miriano
Va bene, lo confesso, se non fosse stato per la mia amica, io in piazza per la canonizzazione dei due Papi non ci sarei andata. Non mi sarei alzata alle quattro, non sarei arrivata in via della Conciliazione alle cinque, non avrei percorso tunnel e strade e marciapiedi intasati, non mi sarei lasciata pressare da orde di persone incontrollabili e sinceramente anche un po’ inquietanti (e se ora, esattamente ora, dovessi andare di corsa da uno dei miei figli che è caduto e ha battuto la testa?), non avrei fatto file spiaccicata contro transenne, non avrei rischiato un malore come tanti. Sarei rimasta a casa con i miei figli, a fare la mamma e la moglie, certa che non sarei stata meno fedele alla Chiesa né meno devota al Papato se fossi mancata.
Ma la devo ringraziare, la mia amica, per una serie di motivi. Intanto per la lezione che mi ha dato lei, che ha sistemato a casa tre figlie, si è caricata quattro borse (hai presente viaggiare con un bambino di nove mesi?), un passeggino, il suddetto bambino, che ha dei problemi di salute, ha preso un treno, è venuta a (non) dormire a casa mia e si è fatta una faticata incredibile lunga nove ore in piazza solo per dire con la sua presenza e il suo consegnarsi… beh, per dire cosa lo sa lei, io so che la mia amica ha una gran fede, se non si è fermata al primo ostacolo, e neanche al secondo o al terzo, ma ha scoperchiato il tetto per calare il lettuccio con il suo bambino.
E ieri ho visto davvero centinaia di migliaia di tettucci scoperchiati, da persone – quanti milioni fossero non l’ho capito – vecchi, bambini, sani, malati, giovani che hanno passato la notte in bianco, dormito per terra, sentito freddo e fame, fatto lunghe file senza sapere se e dove sarebbero arrivati, dopo avere pagato e organizzato lunghi viaggi. Mi sono chiesta perché lo facessero, io che abito a cinque chilometri dalla Basilica di San Pietro, io che non sarei andata se non per accompagnare un’amica, e che peraltro avevo un pass, e che a un certo punto comunque sono tornata a casa.
Non sono mai stata una da manifestazioni di piazza, sono sempre cauta con l’emotività, ho sempre pensato che fosse meglio andare davanti al Santissimo ad adorarlo, piuttosto che in piazza tra la folla, dove magari invece è difficile concentrarsi, pregare, stare alla presenza di Dio. Eppure. Eppure l’emotività non può essere tutto, ma noi siamo anche questo. Abbiamo bisogno, noi uomini fatti anche di corpo, abbiamo bisogno di tutto, di segni, di gesti concreti, di presenza, di esserci.
Ieri ho visto la fede vera. Gente, anzi, non gente, fratelli di una stessa famiglia, la Chiesa, disposta a soffrire, stancarsi, spendere, sacrificarsi, pur di essere presente con il corpo e il cuore alla celebrazione. Ognuno con la sua domanda da fare, con il suo grazie da dire, con il suo nodo da sciogliere. Essere lì per tante persone ha significato dire “sono disposto a giocarmi tutto perché tu, Signore, sia veramente il Signore della mia vita. Di questa mia giornata, di questa mia notte in bianco, della sete e della fame e del sonno”.
Questi fratelli mi hanno dato davvero una lezione. E tra di loro prima di tutto la mia amica pellegrina da lontano, e l’altra meravigliosa amica che si è fatta carico di lei, che le ha organizzato il viaggio e che l’ha riportata sana e salva a casa. Tutto senza neanche conoscerla, solo per amore di Cristo. Perché così si fa nella Chiesa.